Il trattamento dei melanomi avanzati ha subito un cambiamento paradigmatico negli ultimi 10-15 anni. I risultati frustranti degli studi sul trattamento medico di un decennio addietro sono stati rimpiazzati da studi che hanno migliorato costantemente la sopravvivenza nei pazienti con melanomi avanzati.
Gli inibitori del checkpoint immune appartengono ad un gruppo di trattamenti, e le terapie mirate ad un altro. Il 50% dei melanomi è positivo alle mutazioni BRAF. Di norma le cascate della MAP-chinasi traducono i segnali esterni in crescita intracellulare e proliferazione, ma nelle cellule melanomatose BRAF-mutate, la BRAF-chinasi mutata risulta eccessivamente attiva, portando a proliferazione autonoma e crescita cancerosa.
Questa chinasi può essere bloccata dai BRAF-inibitori. Se somministrati ai pazienti con melanomi BRAF-negativi, essi potrebbero portare a progressione della malattia, dato che il Ras non è inibito in queste cellule.
Lo sviluppo di carcinomi squamocellulari come grave effetto collaterale dell’inibizione BRAF, potrebbe essere causato da meccanismi simili nei cheratinociti non BRAF-mutati.
Con i BRAF-inibitori inoltre si osserva una spontanea e paradossale perdita di efficacia legata a vari modi in cui le cellule melanomatose bypassano il BRAF.
Ciò viene in qualche modo contrastato dall’aggiunta di MEK1/2 inibitori. Nel complesso la sopravvivenza libera da progressione è aumentata da una media di due mesi con la chemioterapia a 7-8 mesi con i BRAF-inibitori, sino a 10-14 mesi con la più nuova terapia combinata con BRAF-e MEK-inibitori. (Curr Opin Pharmacol. 2019; 46: 116-21)



